Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/103

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— Di che! ghignò Don Lelio. Ebbene, poichè noi ci conosciamo sotto la guarentigia del barone di Sanza, restiamone lì, e non cercate indovinare il senso e lo scopo di ciò che io vi dirò e cui voi comunicherete ai miei collettori. La nostra posizione è complessa. Una parola imprudente, ed ecco messo su uno svegliarino che non si sa più dove si fermerà. I miei sotto appaltatori non sono tutti dello stesso colore. Se io ne avessi racimolato un mazzetto di giacobini, il prefetto di polizia avrebbe aperto gli occhi e le orecchie molto più che nol fa attualmente.

— Comprendo anche ciò, disse Don Diego.

— Che fortuna! riprese don Lelio celiando. Ora, come noi non sappiamo la rivoluzione che si opera nell’animo di quella gente, ogni giorno, sotto il soffio di tante cause e di tanti agenti diversi, egli è prudente, mi sembra...

— Di tacersi, interruppe Don Diego.

— Un avvocato che si tace? donde diavolo sbucate voi zzi prè! Cesare aveva paura del silenzio di Cassio. Il marchese di Sora, il nostro ammirabile ministro di polizia, non ammette neutri.

— Ma allora....

— Ah! allora gli è mestieri essere accorti. Noi siamo degli uomini di affari qui e non dei missionari che esercitano un apostolato, come dice il nostro grande messia Giuseppe Mazzini. Io traffico elemosine e messe; io sono intermediario tra il cielo e la terra per la pesca delle anime del purgatorio che cacciamo in paradiso. I miei azionisti, che hanno accomanditato questa santa tratta,