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LEGGI ROMANE 107

inclinazioni, colle nostre religioni, e colle nostre altre pratiche civili, e forensi. Noi non abbiamo più que’ Magistrati, ed Uffiziali, de’ quali viene in tante Leggi Romane fatta menzione. Non c'è più quella distinzione tra il Pretore, ed il Giudice, e tra le cose, che si fanno in Jure, ed avanti il Giudice Pedaneo. La Giurisdizione de' Magistrati ha presso di noi un'altra natura, e produce tutt'altri effetti, che presso i Romani. Sicchè inutili sono per noi quelle tante Leggi, che di tali materie trattano. E ne sentiamo anzi del pregiudizio, poichè gli stolti, che non le capiscono, e che sono nella nostra facoltà in numero infinito, vogliono pur far pompa con esse, ed applicarle ai Tribunali, agli Ufiziali, ed ai giudizj de’ nostri tempi, dal che altro non nasce, che imbroglio, e confusione. Più non sono in uso fra noi i servi, le manomissioni, i liberti, i libertini, i censiti, i coloni, ed altre spezie di agricoltori, nè i veterani, nè le altre cose della milizia di que’ tempi, che formano tuttavia una immensa quantità di Leggi nella Raccolta di Giustiniano. Non s'ode più parlar delle satisfazioni pretorie, giudiziali, comuni, e di tali altre cauzioni; delle diminuzioni del capo, delle pretorie possessioni de’ beni; e raramente usate sono le arrogazioni, le adozioni, e gli altri atti legittimi de’ Romani. I nostri linguaggi, e le nostre maniere d’esprimersi sono tutto differenti da quelle de’ vecchi tempi. E però quasi tutti que’ titoli, che riguardano le maniere del lasciare i Legati, e d’interpretarli, sono a giorni nostri superflui, e recano soltanto disturbo, e confusione per la ignoranza, o malizia di coloro,


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