ed ai Dottori più dozzinali riescano oscuri infiniti
testi dei Digesti, del Codice, e delle novelle,
poichè non solo queste teste stordite, ma
ben anche i più valenti Giuristi non hanno saputo,
e tuttora non saprebbero dare una certa,
ed incontrastabile interpretazione ad un gran
numero di Leggi oscure. Non furon già ocche,
nè cavoli il Cujacio, il Buddeo, il Duraneo,
il Connano, il Bertrando, il Gothofredo, i
Fabri, il Noodt, ed altri uomini di questa fatta:
eppure quante volte non accade in leggendo
le opere loro di abbattersi in certi passi,
dove forte si lagnano dell’oscurità delle Leggi,
e confessano anche talvolta ingenuamente
di non saperle intendere, nè rinvenirne il vero
lor sentimento? Il che principalmente lor
avviene, quando ad essi tocca per avventura di
spiegare una qualche Legge di Paulo, di Scevola, di
Affricano, e di Papiniano, i quali rispetto
all’oscurità fra gli altri antichi Giureconsulti
singolarmente distinti si sono.1 Scevola
spezialmente noto è per cagione delle sue
risposte ambigue, equivoche, e nulla concludenti,
dalle quali ben sovente non è possibile
di cavare costrutto veruno. Licet permulta alia
(dice in un luogo Connano2 Scævola re-
- ↑ Duar. ad L. 132. D. de V. O. ad L. 16. D. de Lib. et Posth. et cap. 8. ad Leg. Falc. Cujac. Lib. 4. Observ. 17. Bertrand. in Vit. Julii Puulli p. 143. Connan. Comment. Lib. 6. cap. 9. Buddeus adnot. ad Digest. pag. 76. Noodt. ad L. 41. D. Pignor. et Hypoth. Byntreshoek ad L. Lecta cap. I. et Obser. L. 8. cap. 22. Mascor. in not. ad Gravin. Lib. I. cap. 102.
- ↑ Lib. 6. Comment. cap. 3. n. 9.