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rappresentare una particina. So che per impegnarla a prender parte alle altre scene del film, ha mandato al padre un biglietto da cinquecento lire e, secondo la promessa, il regalo d’un grazioso ombrellino a lei e un collarino con molti sonaglioli d’argento per la vecchia cagnetta Piccinì.

Non l’avesse mai fatto!

A quanto pare, Cavalena aveva dato a intendere alla moglie, che — venendo a portare i suoi scenarii alla Kosmograph tutti col loro bravo suicidio immancabile e tutti perciò costantemente rifiutati — non vedesse nessuno, tranne Cocò Polacco: Cocò Polacco e basta. E chi sa come le aveva descritto l’interno della Kosmograph: forse un austero romitorio, da cui tutte le donne fossero tenute lontane, come demonii. Se non che, l’altro giorno, la moglie feroce, venuta in sospetto, volle accompagnare il marito. Non so che cos’abbia veduto; ma me l’immagino facilmente. Il fatto è, che questa mattina, mentre stavo per entrare alla Kosmograph, ho veduto arrivare in una carrozzella tutt’e quattro i Cavalena: marito, moglie, figliuola e cagnolina: la signorina Luisetta, pallida e convulsa; Piccinì, più che mai rabbuffata; Cavalena, con la solita faccia di limone ammuffito, tra i riccioli della parrucca sotto il cappellaccio a larghe tese; la moglie, come una bufera a stento contenuta, col cappellino andatole di traverso nello smontare dalla vettura.

Sotto il braccio, Cavalena aveva il lungo pacco dell’ombrellino regalato da Polacco alla figliuola e in mano la scatola del collarino di Piccinì. Veniva a restituirli.