Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/145

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Non ha forse pensato mai d’esser madre, quella donna! Ha trovato quel pover’uomo, il quale, tra le grinfie, dopo tant’anni, le si è ridotto come peggio non si potrebbe; non importa: se lo difende; séguita a difenderselo ferocemente. Polacco m’ha detto che, assalita dalle furie della gelosia, perde ogni ritegno di pudore; e innanzi a tutti, senza badar più neanche alla figliuola che sta a sentire, a guardare, sculaccia nude (nude, come in quelle furie le balenano davanti agli occhi) le pretese colpe del marito: colpe inverosimili. Certo, in questo laido svergognamento, la signorina Luisetta non può non vedere ridicolo il padre, che pure, come si nota dagli sguardi che gli rivolge, deve farle tanta pietà! Ridicolo, per il modo con cui denudato, sculacciato, il pover’uomo cerca di tirar su da ogni parte, per ricoprirsi frettolosamente alla meglio, la sua dignità ridotta a brani. Me n’ha dette parecchie Cocò Polacco delle frasi che, sbalordito dagli assalti selvaggi improvvisi, rivolge alla moglie, in quei momenti: più sciocche, più ingenue, più puerili, non si potrebbero immaginare! E per ciò solo credo, che Cocò Polacco non se le sia inventate lui.

— Nene, per carità, ho compito quarantacinque anni...

— Nene, sono stato ufficiale...

— Nene, santo Dio, quand’uno è stato ufficiale e dà la sua parola d’onore... —

Ma pure, ogni tanto — oh, alla fin fine, la pazienza ha un limite! — ferito con raffinata crudeltà nei più gelosi sentimenti, barbaramente fustigato dove più la piaga duole — ogni tanto,