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— No, perchè è negli atti di costituzione della banca, quel nome; è il nome della banca: creatura di tuo padre, tal quale come te! E ne porta il nome con lo stesso stessissimo tuo diritto!
— Ah è così?
— Così, così!
— E il danaro? Quello che mio padre ci mise, di suo? Lo lasciò alla banca o a me, il danaro, mio padre?
— A te, ma investito nelle operazioni della banca.
— E se io non voglio più? Se voglio ritirarlo per investirlo altrimenti, a piacer mio, non sono padrone?
— Ma tu così butti all’aria la banca!
— E che vuoi che me n’importi? Non voglio più saperne, ti dico!
— Ma importa agli altri, se permetti! Tu rovini gli interessi degli altri, i tuoi stessi, quelli di tua moglie, di tuo suocero!
— Nient’affatto! Gli altri facciano quello che vogliono: séguitino a tenerci il loro: io ritiro il mio.
— Vorresti mettere dunque in liquidazione la banca?
— So un corno io di queste cose! So che voglio, “voglio„ capisci? voglio ritirare i miei denari, e basta così! —
Vedo bene adesso che questi violenti diverbii, così a botta e risposta, sono veri e proprii pugilati tra due avverse volontà che cercano d’accopparsi a vicenda, colpendo, parando, ribattendo, sicura ciascuna che il colpo assestato debba atterrare l’altra; fin tanto che all’una e all’altra non venga dalla resistente durezza