Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/195

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modo, andare in qualche luogo insolito e nel silenzio avvertire come un sospetto che ci sia qualcosa di misterioso a noi, da cui, pur lì presente, il nostro spirito è condannato a restar lontano, è un’angoscia indefinita, perchè si pensa che, se potessimo entrarci, forse la nostra vita si aprirebbe in chi sa quali sensazioni nuove, tanto da parerci di vivere in un altro mondo.

Quella Badìa, già castello feudale dei Chiaramonte, con quel portone basso tutto tarlato, e la vasta corte con la cisterna in mezzo, e quello scalone consunto, cupo e rintronante, che aveva il rigido delle grotte, e quel largo e lungo corridojo con tanti usci da una parte e dall’altra e i mattoni rosi del pavimento avallato che lustravano alla luce del finestrone in fondo aperto al silenzio del cielo, tante vicende di casi e aspetti di vita aveva accolto in sè e veduto passare, che ora, nella lenta agonia di quelle poche suore che vi vagavano dentro sperdute, pareva non sapesse più nulla di sè. Tutto là dentro pareva ormai smemorato, nella lunghissima attesa della morte di quelle ultime suore, a una a una; perduta da gran tempo la ragione per cui, castello baronale, era stato dapprima costruito, divenuto poi per tanti secoli badìa.

La suora portinaja aprì uno di quegli usci nel corridojo e m’introdusse nel parlatorietto. Una campanella malinconica già era stata sonata da basso, forte per chiamare Suor Celestina.

Il parlatorietto era bujo, tanto che in prima non potei discernervi altro che la grata in fondo, appena intravista alla poca luce entrata dall’uscio nell’aprirlo.