Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/215

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per quanto a volte non se ne mostrasse per nulla contenta, anzi dicesse di odiarselo. Ma se lo stava a mirare continuamente allo specchio, in ogni parte o tratto; a provarne tutti gli atteggiamenti, tutte le espressioni di cui i suoi occhi così intensi lucidi e vivaci, le sue narici frementi, la sua bocca rossa sdegnosa, la mandibola mobilissima, potevano essere capaci. Così, come per un gusto d’attrice; non perchè pensasse che per sè, nella vita, potessero servirle se non per giuoco: per un giuoco momentaneo di civetteria o provocazione.

Una mattina le vidi provare e studiare a lungo nello specchietto a mano che teneva con sè sul letto un sorriso pietoso e tenero, pur con un brillìo negli occhi di malizia quasi puerile. Vedermelo poi rifare tal quale, quel sorriso, vivo, proprio come se le nascesse or ora spontaneo per me, mi provocò un moto di ribellione.

Le dissi che non ero il suo specchio.

Ma non s’offese. Mi domandò se quel sorriso, come ora gliel’avevo visto, era quello stesso che lei s’era veduto e studiato nello specchio dianzi.

Le risposi, seccato di quell’insistenza:

— Che vuole che ne sappia io? Non posso mica sapere come lei se l’è veduto. Si faccia fare una fotografia con quel sorriso.

— Ce l’ho, — mi disse. — Una, grande. Là nel cassetto di sotto dell’armadio. Me la prenda, per favore. —

Quel cassetto era pieno di sue fotografie. Me ne mostrò tante, di antiche e di recenti.