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— Tutte morte, — le dissi.
Si voltò di scatto a guardarmi.
— Morte?
— Per quanto vogliano parer vive.
— Anche questa col sorriso?
— E codesta, pensierosa; e codesta, con gli occhi bassi.
— Ma come morta, se sono qua viva?
— Ah, lei sì; perchè ora non si vede. Ma quando sta davanti allo specchio, nell’attimo che si rimira, lei non è più viva.
— E perchè?
— Perchè bisogna che lei fermi un attimo in sè la vita, per vedersi. Come davanti a una macchina fotografica. Lei s’atteggia. E atteggiarsi è come diventare statua per un momento. La vita si muove di continuo, e non può mai veramente vedere se stessa.
— E allora io, viva, non mi sono mai veduta?
— Mai, come posso vederla io. Ma io vedo un’immagine di lei che è mia soltanto; non è certo la sua. Lei la sua, viva, avrà forse potuto intravederla appena in qualche fotografia istantanea che le avranno fatta. Ma ne avrà certo provato un’ingrata sorpresa. Avrà fors’anche stentato a riconoscersi, lì scomposta, in movimento.
— È vero.
— Lei non può conoscersi che atteggiata: statua: non viva. Quando uno vive, vive e non si vede. Conoscersi è morire. Lei sta tanto a mirarsi in codesto specchio, in tutti gli specchi, perchè non vive; non