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pendente e libero, ha dotato ogni individuo di attitudini speciali: d’onde la potenza del lavoro collettivo, la sociabilità. Coteste attitudini sono quelle appunto che, nelle varie operazioni della vita, costituiscono la diversità delle incumbenze. Dichiarare un’incumbenza più nobile che un’altra è un assurdo degno di una società che ha vanità e privilegio per base. «Ma qual si è l’arte vile, esclama Mario Pagano, quando ella giova alla società? vile è l’opinione degli uomini, che avvilisce gli utili mestieri». Ed è eziandio assurdo dichiarare una funzione più che un’altra faticosa; la meno faticosa è quella che meglio armonizzi con le proprie attitudini ed inclinazioni, epperò esse solamente debbono dar norma alla distribuzione delle varie cariche e mestieri che nella società si riscontrano.
In tutte le varie operazioni dell’intera società o di un nucleo qualunque di cittadini, sono indispensabili gli ordini, e la distribuzione delle funzioni; egli è impossibile operare tumultuariamente. Ciò deve aver luogo nelle grandi, come nelle piccole cose, tanto nella guerra e nella pubblica amministrazione, come in qualunque altra speculazione o industria. A conservare illesa la sovranità nazionale, nel caso che una parte di cittadini debba compiere un’impresa che riguarda l’intera società, due condizioni si richieggono, cioè: che l’impresa da eseguirsi e gli ordini d’adottarsi siano il risultamento della volontà nazionale, il che emerge di fatto dai principii 6.° e 7.°; e che la distribuzione delle varie funzioni fra quel nucleo di cittadini operanti venga fatta da que’ cittadini medesimi. Se la nazione volesse indicare i capi che debbono dirigerli, violerebbe manifestamente la libera associazione. Quindi i principii seguenti:
8.° Ogni funzionario non potrà che essere eletto dal popolo, e sarà sempre dal popolo revocabile.