Pagina:Platone - Fedro, Dalbono, 1869.djvu/51

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versi questo corpo per forza ch’essa gli dà, tutta questa unione piglia il nome di animale così composta, ed è chiamato mortale. Ma in quanto all’immortale non si comprende per conclusione di ragionamento, ma, non avendo noi veduto mai nè compreso abbastanza il Nume, vien da noi figurato come un certo essere immortale il quale ha certamente un’anima ed ha un corpo, ma queste cose sono state congiunte insieme per natura, in eterno. Ma sieno pure queste cose, e sieno chiamate come piace al Nume, cerchiamo noi d’intendere la cagione perchè si perdono le ali e perch’esse vengano a mancare all’anima; e la cagione credo che sia questa. La virtù delle ali è così fatta per natura da levare su in alto le cose pesanti, laddove dimora la razza degli Dei, perciocché essa virtù partecipa sopra ogni altra cosa del corpo, di ciò ch’è divino, e il divino vuol dire bellezza, sapienza, bontà, e tutto che li rassomiglia; perchè a dir vero da queste cose principalmente pigliano alimento e vigore le ali dell’anima, e al contrario per opera di ciò ch’è turpe e contrario ad esse, le ali si guastano e vengono a perire.

«Adunque nel cielo il gran condottiere Giove si avanza il primo guidando il suo carro alato, ponendo ordine e governo a ogni cosa, ed a lui tien dietro l’esercito degli Dei e de’Geni, distribuiti in undici