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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/143

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     Ma non avend’ivi stromenti alcuni
Per attaccar le già tessure scale,
Di quelle corde a certi alpestri pruni,
     Disperata di ciò, per manco male;
S’accostava ad un uom, che con egregio
Titol facea l’uffizio di sensale.
     Quell’era il mal vestito, e vil Dispregio,
Che de i lor scartafaci da dozzina,
Stimandoli di nullo, o poco pregio,
     Ne mandava ogni giorno una ventina
Di risme al Culiseo, ma la più parte
N’avean color, che vendono tonina.
     Io tosto mi rivolsi in altra parte,
Che vidi far di sventurato fine
A quelle sciocche, e mal vergate carte.
     Ma però sempre intorno a le vicine
Radici di quel monte, ove si vola
Fra le siepi a gran rischio, e fra le spine.
     In quelle balze sconsolata e sola
Vidi la buca di quella civetta,
Di cui cantò la morte il Firenzuola
     E fui quasi per farle di beretta,
Volsi dir per cavarmele il capello,
Le parole s’intrican per la fretta,
     Se non che dubitai, che questo e quello
Sasso, che di là su venia rotando
Sul capo non mi desse di livello.