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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/146

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     A guisa di scampato prigioniero,
Che con garrula lingua va chiedendo
Pe’ i figli schiavi in Tripoli, o in Algiero.
     Benchè con più ragion qual or comprendo
La dura servitù, l’iniqua sorte,
Di quei meschin, ch’in Roma stan servendo.
     Attaccar si devria fin a le porte,
Per liberar i miseri cristiani,
Tant’anni schiavi a la catena in corte.
     Ma perché a dir di questi cortigiani
Bisogna non aver altro nel capo,
Un’altra volta vi porrò le mani.
     Appena letto fu quel primo capo,
Scritto di questa lettra cubitale
Quel Ferdinandus Medices da capo.
     Sanctæ Romanæ Ecclesiæ Cardinale
Musa di Grazia parla con Prisciano,
E scusa quest’error grammaticale:
     Che Cardinalis non era Toscano,
Che se ben egli ha la berretta rossa
La rima nol torria per Capellano.
     Dico, che appena quella lettra grossa
Fu vista, che s’aprir gli orrendi passi,
Ogni difficoltà da lor rimossa.
     Anzi parea le spine, e i tronchi, e i sassi
Mi dicessero in atto, ed in favella,
La vostra Signoria di grazia passi.