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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/147

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     Anzi lei, vada lei: passi pur quella,
Ad un rogo importuno (rispos’io)
Che fin mi ci tirava la gonnella.
     Pur vedendo la guida, e ’l furor mio
Girsene innanzi, e già sonar la valle
E ’l monte di soave mormorio:
     Mossi ancor io per quel felice calle,
Mentre al suon d’una muta di viole,
Viole pavonazze, bianche, e gialle;
     Senti’ cantar, rivolto incontro al sole,
Certi fior di cicorea, e dicean cose,
Ch’a ridir non son degne le parole.
     Ed a l’incontro, due vermiglie rose
Cantavan, ma non già per cosa loro,
Certe ottave d’amor miracolose.
     Io, che sempre stimai più d’un tesoro,
Sentir due versi soli, ancor che poco
Avesser leggiadria, grazia, e decoro.
     Veramente ebbi il torto, e fui da poco
Non diventar un marmo, al canto, e al suono,
E servir per un termin di quel loco.
     Ombre nascoste, e nudi spirti sono
(Dissi io) quei che odo, o venerandi fiori,
Date al profano ardir, date perdono.
     Però che umane orecchie i vostri amori
Non ponno udir senza peccato, e senza
Macchiar la maestà de’ sacri autori.