Vai al contenuto

Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/149

Da Wikisource.

     Tutte le dita a un tratto de’ piè miei
Uscendo fuor de’ sesti naturali,
Si trasformaro in datili, e spondei.
     E fersi i nodi sillabe inequali,
Tal che sforzate furo alcune dita
Di romperne la cima gli stivali.
     L’orecchie a l’armonia non più sentita
Mi s’eran dilungate mezzo braccio,
E quasi, che la testa inasinita.
     Ma non perciò m’arresto, anzi procaccio
(Benchè talor con piè dubbio, e tremante)
Dì superar quel faticoso impaccio.
     Facean con l’erbe a gara anco le piante
Di tormi del camin l’aspro fastidio:
Co ’l recitarmi qualche opra elegante.
     Fra l’altre, un’olmo vecchio, che a l’eccidio
Già fu di Troia, e che portò ad Ulisse
Quell’Hanc tua Penelope d’Ovidio,
     Cose stupende in versi eroici disse,
Ma nel tronco man dritto avendo un buco,
Seppi che fu stroppiato, e non gli scrisse:
     Poco più su: l’epicureo sambuco,
Che pe’l corpo ingrossar l’anima perde,
Avea tradotto in rima già l’Eunuco.
     Ma tutti s’acquetar, tosto ch’un verde
Lauro s’udì cantar l’indegno fallo,
Che commette chi amor caccia, o disperde: