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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/153

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     Tenen del Mago, e avea del Cabalista
Ne la fisonomia; ma nondimeno
Non si poteva dir per cosa trista,
     Anzi mastro Allegorico, ch’in seno
La vide, e ne fe’ tosto il paragone,
Disse, ch’ella era buona roba a pieno.
     Costei con un gonfietto da pallone,
E con una carota assai ben unta,
Con certo, verisimile sapone,
     M’era quasi su gli occhi sopragiunta,
Quando a slacciar m’incominciai le calze,
Che per un servizial non facea punta.
     Sorrise ella a quell’atto, e ’ndarno t’alze
I panni per ricever l’argomento.
(Soggiunse) mal creato in queste balze
     Perchè questo che vedi è un istromento
Con che tal or le zucche senza sale
Pe ’l buco de l’orecchie empio di vento.
     Ciò che tu sei (diss’io) che non so quale,
O terrena fantasma, o Dea; pur t’amo;
Che ’l tuo non è mostaccio dozinale,
     Ed ella a me, non ti smarrir; che siamo
Dove avrai le tue voglie soddisfatte;
La licenza poetica mi chiamo.
     Poi gli occhi mi toccò con certo latte
Appropriato per levare i fiocchi
Da le pupille, e tor le cataratte.