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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/154

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     Tal che mi vidi al novo aprir de gli occhi
Un palazzo dinanzi, il più giocondo
Di quanti mai da gli scrittor fur tocchi,
     Cui fu nel fabricar tanto fecondo
Il ciel, per quel che dicon le memorie,
Ch’era il primo miracolo del mondo.
     Nè fabrica agguagliarlo oggi si glorie,
Perchè in vece di porfidi, e di marmi,
Era fatto di favole, e d’istorie,
     L’un sopra l’altro i collegati carmi
Facean quelle facciate intere, intere,
Che fur soggetti già d’amore, e d’armi,
     Fra molte cose finte alcune vere
Serviano in quel mirabil edificio
Per finestre di vetro, e per lumiere.
     Qui con saldo, onorato, e bel giudicio
La sottil invenzion prima d’Euclide
Insegnò far la pianta a l’artificio.
     Ella che de’ moderni oggi si ride,
Ne la sua idea formandosi un modello,
Mostrò come si numera, e divide,
     Altri sei mastri poscia a questo, e a quello
Ufficio compartito avean la cura,
Di condur l’opra al termine più bello.
     Fu l’esordio a fundar primo le mura,
Ei con benivolenza, ed attenzione
Spiegò la consonante architettura: