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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/155

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     Mentre con certa sua proporzione
Venia tirando un altro la cortina
Di bei concetti giusti al suo cantone.
     Altri con più severa disciplina
Facea gli spartimenti, e terminava
Gli spazi a quella fabbrica divina.
     Quell’altro, ove pur l’opra vacillava
Col martel de’ probabili argomenti
Le sue ragion battendo confermava.
     Tutti i pensier del quinto mastro intenti
Erano a confutar qualche difetto
Nel senso, ne le voci, e ne gli accenti.
     L’ultimo, e felicissimo architetto
Fu la conclusion, ch’usando un breve
Epilogo, serrò le mura, e ’l tetto.
     Che mai non temeran venti, nè nevo,
Benchè ardiscon di dir centi pedanti,
Che ’l farne anco un più bel sarebbe leve.
     Oltra i detti sei mastri, erano tanti
Quegli altri, ch’obediano a la tenace
Memoria, e a la pronuncia soprastanti.
     Costor cavar da l’opra un certo audace
Grammaticuccio, il qual rubar volea
Un barbarismo cotto su le brace.
     Scorrer per tutto intanto si vedea,
Ma però con piè cauti, e molto destri,
La provvidenza, che tal cura avea,