Vai al contenuto

Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/156

Da Wikisource.

     E giva ricordando a quei maestri,
Che per gli sciolti, e lubrici Scrittori
Avertisser di far comodi i destri.
     Stuccato tutto quanto era di fuori
I’ mur d’un’eleganza di parole,
E sparso di rettorici colori,
     Tal, che il palazzo, dove alloggia il Sole,
Tanto nel Metamorfosi lodato,
Rispetto a questo, e tutto baia, e fole.
     Quest’era in forma quadra, a fil tirato
Da un angolo all’altro, come s’usa,
Con quattro vaghe porte, una per lato.
     Quella ch’usò già la divina Musa
Del gran poeta Ebreo, ch’a la Rebeca
Cantava i Salmi, e poco men che chiusa
     Rotta è la foglia de la porta Greca,
Dove Omero lasciò l’unghia d’un piede
Aspramente inciampandovi a la cieca.
     Tutta di versi esametri si vede
Fatta co ’l suo pentametro architrave,
La porta de’ Latin, che l’altra eccede.
     Più moderna è la Tosca, e più soave,
Benchè l’avria la gente mal ridutta,
S’un Venezian non vi facea la chiave.
     Non di rustici bagni era costrutta,
Ma bene in vece lor, s’io non vaneggio,
D’amorosi terzin composta tutta.