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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/168

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     Dove d’Ennio fra lor molto si rise,
Che non avendo un straccio da mutarsi,
Il sajo a la disdossa il dì si mise.
     Già cominciava il Sole ad abbassarsi,
E non trovava il Pegaseo quiete,
Per esser ora omai d’abbeverarsi.
     Quando dopo lunghissime diete,
Tutti i Comentator furon d’accordo
A interpretar che l’asino avea sete.
     E benchè Ascensio facesse il balordo
E Donato, e Porfirio, e ’l Mancinello,
Lo sciolser pur, e n’ho questo ricordo,
     Ch’ebbe co’ calci a uccider il Burchiello,
Che l’arrivò su l’uscio de la stalla,
Nè mai più da quel dì stette in cervello.
     Balzò fuor l’animal, come una palla,
O che a l’odore, o che le parve al conio,
Che la mia mula fosse una cavalla.
     E prodotto un gagliardo testimonio,
Le corse adosso, consumar volendo
Per verba de præsenti il matrimonio.
     La mula, ch’animal così stupendo
Lo vide a suon di calci, e di suffioni,
Rotta la briglia, se mandò fuggendo.
     Or sì, ch’allor s’udiro altre canzoni,
Però ch’amor temprato il suo liuto,
Fè quattro ricercate su i bordoni.