Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/22

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Per porgere alimento ai sacri lumi,
Ed ornar la sembianza alma, e divina,
Ma questo non vo far, perch’io non cerco
Di voler porre in sì grand’orme il piede,
Ove entrar non porria vestigio umano,
Ma seguo l’ombra sol delle tue frondi;
Perchè non dee la rondine d’Etruria
Ch’appresso l’ acque torbide si ciba
D’ulva palustre, e di loquaci rane,
Certar col bianco Cigno del bel Lago,
Che i bianchi pesci suoi nutrisce d’oro.
     Quand’escon l’Api dei rinchiusi alberghi,
E tu le vedi poi per l’aere puro
Natando in schiera andar verso le stelle,
Come una nube, che si sparga al vento,
Contempla ben, perch’elle cercan sempre
Posarsi al fresco sopra una verde elce,
Ovver presso a un muscoso, e chiaro fonte.
E però spargi quivi il buon
Della trita melissa, o l’erba vile
Della cerinta; e con un ferro in mano
Percuoti il cavo rame, o forte suona
Il cembal risonante di Cibelle.
Queste subito allor vedrai posarsi
Nei luoghi medicati, e poi riporsi
Secondo il lor costume entr’alle celle,
Ma se tal’or quelle lucenti squadre