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Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/66

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     39Qual tigre, a cui dalla pietrosa tana
Ha tolto il cacciator i cari figli,
Rabbiosa il segue per la selva Ircana,
Che tosto crede insanguinar gli artigli,
Poi resta d’uno specchio all’ombra vana,
All’ombra ch’i suo’ nati par somigli:
E mentre di tal vista s’innamora
La sciocca, il predator la via divora.

     40Tosto Cupido entro a begli occhi ascoso
Al nervo adatta del suo stral la cocca,
Poi tira quel col braccio poderoso
Tal, che raggiunge l’una all’altra cocca:
La man sinistra col ferro focoso,
La destra poppa con la corda tocca,
Nè pria fuor ronzando esce il quadrello,
Che Giulio drento al cor sentito ha quello.

     41Ah qual divenne! ah come al giovanetto
Corse il gran foco in tutte le midolle!
Che tremito gli scosse il cor nel petto!
D’un ghiacciato sudore era già molle;
E fatto ghiotto del suo dolce aspetto
Non mai gli occhi dagli occhi levar volle:
Ma tutto preso dal vago splendore
Non s’accorge il meschin, che quivi è Amore.