Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/21

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     Che ’l villan vostro rade volte, e rade
Per uom che gli sia d’uopo o roba od opra,
Lasci la villa, ed usi alla cittade.
     Pigra palude, che di nebbia il copra,
Non abbia intorno, o verde umor, che stagna,
E nociva aura ognor gli affiati sopra.
     Sieda alle falde, o al piè della montagna,
Che si possa goder vista più bella,
E l’acqua accor, che le pendici bagna.
     Ma non che tema a tempo di procella
Torrente, ch’ogni cosa affatto strugga,
Porti le biade via, gli arbori svella.
     Nè penda sì, che l’acqua se ne fugga,
Che d’aria vien; nè ve ne mora goccia;
Ma che la terra il più n’assorba, e rugga.
     Nè gli stia su qualche scoscesa roccia,
Che per tempesta, che la smova o crolli,
Col rotar giù de’ sassi talor noccia.
     E s’egli è in pian, sien campi asciutti e molli;
(Che ancor sul piano esser può buono e bello;
Nè sempre aver si posson monti e colli.)
     Attendete, ch’egli abbia o questo o quello,
O il terren tutto ad una banda inclini,
O sia per tutto egual, non a livello;
     Che ed erto e pian ne’ fossi, e ne’ pendini,
Non si faccia quel limo e quella borra,
Che uligine suol dirsi dai Latini.