Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/22

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     Se umor non ha, nè ’l puote aver, che corra,
Abbial che giaccia: ma sian vene eterne;
Non sì profonde, che ’l villan le aborra.
     Non m’appagan pescine, nè cisterne,
Or calde, or secche; ma vo’ fonte o pozzo,
Freddo d’estate, e caldo quando verne.
     O se la Parca non avesse mozzo
Il filo della vita del gran Pietro,
Ch’ebbe sì in odio il viver rude e sozzo;
     Chiare onde e fredde più che ghiaccio e vetro
Avrian forse e Pausilipo e sant’Ermo,
Non pur la quercia, e ’l salce, e i campi addietro.
     Ameno e colto ogni aspro colle ed ermo
Fora qui intorno; ed acque avrian gli agrumi,
Per far dal caldo, e dal gelame schermo.
     E chi non sa, che le fontane, e i fiumi
Son l’alme delle terre, e i fregi veri,
Come del ciel le stelle, e i maggior lumi?
     E se avesse sortito il buon Lettieri
Un secolo del nostro men cattivo,
Quando in opra poneansi i bei pensieri;
     Avria la vostra casa oggi il suo rivo;
Ed ei, come a que’ tempi era in costume,
Fora in pietre e ’n metalli sempre vivo.
     Poich’egli ebbe d’ingegno tanto lume,
Che scoperse le vie maravigliose,
Che da Serino a Napoli fea ’l fiume;