Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/25

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     Benchè non entri al libro de’ guadagni,
È dolce ad uom, qual voi, largo e gentile,
Dare e dire a’ signori, ed a’ compagni:
     Questo è del mio podere, o del mio ovile
O ch’egli stesso a mensa sen ricordi;
E ’l suo gli aggradi, e tenga ogni altro a vile.
     La state beccafichi, il verno tordi,
Che visco o rete ne’ vostri arbor prenda,
Da far di loro i più svogliati ingordi.
     Importa assai, benchè nessun v’intenda,
Per comprar con men costo e men periglio,
Saper chi sia ’l padrone, e perchè venda.
     E vi vo’ dare un saggio, alto consiglio,
Che mai scrittore antico altrui nol diede:
Cercate di comprar sempre da figlio,
     Figlio che sia di morto padre erede;
Se aver bramate un venditor cortese,
Che si toglia assai men di quel che chiede.
     Schivate di comprar d’uom, che v’intese,
E ’n farlo, abbia oro e diligenza posta;
Che allor val troppo ogni aspro, e vil paese.
     Però Nisida bella assai men costa
Al vostro, e mio signore, a cui fortuna
Dovria far d’oro i sassi de la costa;
     O donar tutto a lui raccolto in una,
Quanto tesoro in queste parti, e ’n quelle
Per le molte arche altrui sparge e raduna.