Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/28

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     Chi vuol pigliar possession deserta,
Piglila ch’ei non abbia ancor la gota
Della prima lanugine coperta.
     Ma chi con quattro croci il dì si nota
Del suo natale, o se ne stia digiuno,
O la cerchi ben lieta, e su la rota.
     Più vi vo’ dir: sappiate ad uno ad uno
Quai frutti v’ha, da chi gli ha colti o visti,
Nè vi caglia il parer troppo importuno.
     Perchè se tutti son cattivi o misti,
Bisognan doppie spese, affanni doppi,
A porvi i buoni, ed a sbandirne i tristi:
     Ch’or nobil ramo a tronco vil s’accoppi;
Or questo arbor si taglie, or quel si sterpe;
E si accasin di novo or gli olmi or gli oppi.
     Che veder vite, che per arbor serpe,
Non puon gli occhi soffrir de’ buon padroni,
S’ella non è di generosa sterpe.
     Ma che le viti, e gli arbori sian buoni,
Se con misura et arte non fur posti,
Ancor che sian ben colti, e ’n lor stagioni,
     Rende poco il poder, benchè assai covi;
Che l’una pianta a l’altra si fa guerra,
Se più, che non dovria, s’appressi, o scosti
     L’una all’altra. Qualor nell’ordin s’erra,
L’aria, e l’aura, e la luna, e ’l sol si toglie;
Nè forze a tutte egual può dar la terra.