Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/32

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     Ruba a Pomona, a Cerere, ed a Bacco;
Non teme di minaccie, nè d’accusa,
Pur ch’empia in terra altrui la corba, o il sacco.
     Non giova villa d’ogn’intorno chiusa,
Nè diligenza d’uomini, e di cani,
Contro le insidie, che ’l vicin vostro usa.
     Gallina, che dall’uscio s’allontani,
Più non vi riede, e chiami pur, e pianga
La villanella, e battasi le mani.
     Aratro o giogo o rastro o marra o vanga,
Qual sia di ferramenti o di legnami,
Non fidate che fuori si rimanga.
     Or svelle viti, or pali, or tronca rami,
Or arbore per foco, o per altri usi;
Nè lascia intatti i prati, nè gli strami.
     Fura i legumi ancor ne’ gusci chiusi
Nè de’ frutti primier, nè de’ sezzai
Sostien, che ’l padron doni, o per sè gli usi.
     Nel suo terren non mette piè giammai,
Che danno non incontri; e guardia, e cura
N’abbia a sua posta, e d’ogni tempo, assai.
     Chi per sua colpa, o per sua rea ventura
S’accosta a’ rei vicini, o si raffronta,
Sempre ha l’oste alle siepi, ed alle mura.
     D’un signor Greco e saggio si racconta,
Che facendo una sua possessione
Por sotto l’asta al prezzo, che più monta