Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/33

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     Comandò, che gridasse anco il precone,
Ch’ella avea buon vicin: quasi ciò stimi
Non men, che le altre qualità sue buone.
     Se ho reo vicin, quai mura sì sublimi
Faran, che sin nel letto non m’assalte?
Qual legno, o ferro è, che non apra o limi?
     Abbia il poder le siepi e folte, ed alte,
Gli argini, o i fossi, o gli steccati, o i muri;
Sì che bestia non v’entri, uom non vi salte.
     I termini più saldi e più sicuri
De le possession son gli arbor stessi:
Che non ho tema che uom gli smova o furi.
     Però chi vi pon pini, e chi cipressi,
Che sono arbori rari ed immortali,
Nè giudice bisogna ove son essi.
     L’uve, e le biade son le principali
Ricchezze ne’ poder, che denno aversi,
Come il ber, e ’l mangiare han gli animali.
     Benchè abbia intorno a ciò parer diversi:
Chi vuol che sian le prata; e le difese;
Chi le vigne, e chi gli orti d’acqua aspersi.
     Io che tratto di questi del paese
Tra Liri e Sarno. e le montagne, e l’onde,
Lascio le altrui dispute, e le contese;
     I quai son ricchi d’arbori e di fronde,
Più che di piante, e d’erbe quasi tutti;
Le prime parti al vino, e le seconde