Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/34

Da Wikisource.

     Do al grano. D’ogni spezie poi di frutti
Abbian, che aver si possa e più e meno,
Come più di quel clima son produtti.
     Non produce ogni cosa ogni terreno;
Convien che sua natura ogni terra abbia;
E pari a l’esser suo se l’empia il seno.
     Che s’uom volesse non lontan da Stabbia
Arar e sementar, e metter grano,
Ch’è tutto or ghiara or pietra arsiccia or sabbia,
     O in quel d’Aversa, e Capova, e Giuliano
Piantar granata, amandole ed olive,
Ch’è sì fecondo: fora un pensier vano.
     La vite è quella, che più rende e vive
Su queste nostre terre a Bacco sacre,
Sian campi o monti o poggi o valli o rive:
     Se non se alquante paludose o macre,
Poco abili ed all’uve, ed alle biade,
Che l’une e l’altre fan deboli e macre.
     Vorreste voi saper, delle contrade,
C’ha qui d’intorno qual miglior mi paia;
E intender la cagion perchè m’aggrade?
     Ove adombra Vesevo, e là ver Baia,
Oh i dolci colli, oh le campagne erbose
E per le tine fertili, e per l’aia!
     Le comparazion sono odiose,
E con quei maggiormente c’han del grosso,
O che aman troppo le lor proprie cose.