Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/35

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     S’io cerco l’altrui grazia il più che posso,
Non vo’ con far de’ luoghi differenzia,
L’ira recarmi de’ padroni adosso.
     Una cosa dirò, che coscienza
Mi sforza a non tacerla, e con perdono
Di lor, cui tocca, e spiace la sentenza.
     Perdoni il Sangro, il Manso, il Macedono,
E gli altri tutti, o sian gentili o rudi,
Se in quel, ch’io dico, offesi da me sono.
     Ogni uom tre luoghi di fuggir si studi,
Che son dannosi, e disagiati, ed egri;
L’Acerra, e Fuoragrotta, e le Paludi.
     Per quella polve, e quegli orror sì negri,
S’io avessi ver Cuma il mio podere,
Io starei a non irvi gli anni integri.
     Oltre ai danni, ch’egli han delle galere,
I cui spirti dannati a suon di ferro
A sradicar le selve vanno a schiere;
     Svellon gli arbusti, non che l’orno, e ’l cerro.
Sto talor nel balcon, sento le torme;
Per non vedergli, o mi fo indietro, o ’l serro.
     È pur gran fatto; e Napoli si dorme;
Nè si vede uom destar, che cerchi mezzo
Da moderar licenza così enorme.
     Ho corso quasi tutto il mar di mezzo,
Tutte l’isole ho visto, e tutti i lidi,
Ch’egli ha dai lati, e che gli stanno in mezzo: