Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/37

Da Wikisource.

     Questo era quel, che investigavan prima,
Se terra egli comprar volean talora;
E questo de’ più scaltri oggi si stima.
     Nè cerco già, nè vo’, che sia tale ora,
Qual fu la terra nell’età de l’oro:
(O fortunato chi nasceva allora!
     Che senza seme altrui, senza lavoro,
Per se stessa abbondante, e fertil era,
E dava a quei mortali il viver loro:
     O sia, qual degli Elisi la riviera,
Ove ogni anno il terren frutta tre volte;
E v’han perpetuo autunno, e primavera.
     Basti che sia, ch’ella si tenda, e volte
Senza sudor soverchio d’uman viso;
Nè le spese surmontin le ricolte.
     Da che gli uomini in cielo, e in paradiso,
L’un furò il foco, e l’altro colse il pomo,
Volgendo in pianto il proprio e l’altrui riso;
     Fè Dio compagni eterni al miser uomo
I morbi, il mal, le cure e le fatiche,
E fu ’l furto punito, e l’ardir domo.
     Onde abbia quanto vuol le stelle amiche,
Bisogna ch’uom patisca in tutte etadi,
E con sudor si pasca, e si nodriche.
     Ma vi son poi le differenze e i gradi:
Cui più, cui men ne tocca; e tuttavia
Son color, che n’han poco, e pochi e radi.