Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/39

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     Il buon uom per difender sue ragioni,
Al tribunal de’ giudici prudenti
Non menò nè dottori, nè patroni;
     Recò tutti i suoi rustici stromenti,
E tutti i ferri, onde il terren s’impiaga,
Ben fatti, e per lungo uso rilucenti;
     Suoi grassi buoi, sua gente d’oprar vaga:
Questi, disse, (già posti in lor presenza)
Son gl’incantesimi miei, l’arte mia maga:
     Le vigilie, i sudor, la diligenza
Trar qui non posso, come fo di questi,
Benchè dell’una io mai non vada senza.
     Subito, senza dar luogo a protesti,
Ed a calunnie, o porvi indugio sopra,
Dichiararon lui buono, e quei scelesti.
     E la sentenza fu, che più può l’opra
Nel terren, che ’l dispendio, che ivi fassi;
E tanto val poder, quanto uom v’adopra.
     D’oprar dunque in sul campo uom mai non lassi
Che ’l frutto è il ver tesor sotterra posto;
Non però tanto, che ’l dover trapassi.
     Terren fecondo per molt’opra e costo,
Sembra uom, che ben guadagni, e spenda largo
Che al fin più ha speso, che non ha riposto.
     Qui bisognan, direte, gli occhi d’Argo,
Perchè del tutto a tempo io mi ravvegga;
Non già quando aro o pianto o il seme spargo.