Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/40

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     Or’io v’insegnerò come si vegga
La buona terra, e come si conosca;
E qual per grano, e qual per vin s’elegga.
     La miglior terra che sia negra o fosca
Vogliono, o bigia: e questo avvien che s’erre:
Che ancor nelle lagune ella s’infosca.
     Conoscer solo ne’ color le terre,
È proprio un giudicar gli uomini al volto:
Non sempre al volto appar quel che ’l cor serre.
     Quel che importa, è saper, s’è raro e folto
Il terren, grasso o magro, dolce o amaro
Grave o leggier, pria che da noi sia tolto.
     Per farvi dunque a certi indizi chiaro,
Qual e’ si sia, e quando è da sperarne
Che ubbidisca al villan quantunque avaro;
     Dirò qual prova voi potrete farne;
E s’egli è pingue o secco, raro o spesso;
Salso o soave, alta certezza trarne.
     Cavisi un pozzo: del terreno stesso,
Onde pria si votò, poi si riempia,
Coi piè da su bene adeguato, e presso.
     Se ’l terren manca, e che qual fu, non v’empia,
D’esile, e sciolto darà segno aperto
A l’occhio ben accorto, che ’l contempia.
     Ma se ’l fosso ripieno e ricoperto,
Fuora n’avanza, che non possa accorlo,
Che denso e fertil sia, credete certo.