Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/42

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     Lieta terra si scopre anche all’odore,
Qualor si rompa, e il vento gli presti ala;
Ma che l’odor sia suo non d’erba o fiore;
     Simil a quel ch’ella ha quando il sol cala
Là ’ve l’arco del ciel pon le sue corna,
O che dopo gran secca molle esala,
     Quando cessa la pioggia, e il seren torna,
Così suole odorar nel novo solco
Terra molti anni d’alti boschi adorna;
     Poi che gli svelse, ed arse il buon bifolco,
E in lei fece col vomero le piaghe,
Che fè Giasone in sul terren di Colco:
     E dove augelli, e serpi, e fiere vaghe
Avean lor case, or nudo campo s’ara,
Perchè il padron d’alto, che d’ombre appaghe.
     Daran le terre ed uve, e biade a gara,
Se ben partite elle saran tra i dui;
La spessa a Cerere, a Lieo la rara.
     Ma tante prove far sul campo altrui
Come si può che non sen rida o sdegni,
O il suo signore, o chi vi sta per lui?
     Vorreste dunque ch’io vi dessi segni,
Che a torli l’occhio sol fosse bastante,
Senza tanti strumenti, e tanti ingegni.
     Mirate l’erbe, gli alberi, e le piante,
Che per se stesse in quel terren son nate,
O che altrui man le semini o le piante;