Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/43

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     Ch’elle vi potran dir la veritate,
E meglio assai che astrologo o profeta,
Promettervi abbondanza o steriltate.
     Se l’erbe liete son, la terra è lieta,
Steril la terra, se sia arsiccia l’erba,
E scemo ciò, ch’indi si coglia o mieta.
     E se l’arbore è grossa, ampia e superba;
O se ha picciolo il tronco, i rami angusti;
Mostra, ch’è tal chi in se li nutre e serba.
     E quanto più van verso il ciel gli arbusti,
Più vien giù l’uva amabile e benigna,
E più sinceri, e generosi i musti.
     Il calamo, il trifoglio, e la gramigna,
Il giunco, il bulbo, il rucco, terren grasso
Mostrano, e più da campo, che da vigna.
     Ove l’edera negra, il peccio, e ’l tasso
Appare, non curate di tentarla;
Ch’è terra fredda, e steril più che sasso.
     Terra simile a legno che si tarla,
Non pur che non vogliate, io vi consiglio,
Ma che ’l piè non si degni di calcarla.
     Terren c’ha polve d’or, terren vermiglio,
E ghiara e sabbia e creta e tofo e selce,
Non bisogna a schifargli altrui consiglio.
     Il mirto, il rosmarin, l’ogliastro, e l’elce
Mostran terra amicissima all’ulivo;
L’ebulo al pane, al buon licor la felce.