Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/48

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     Che potrete abitarvi e di quaresma,
E d’ogni tempo e voi e la famiglia,
Me’ che se fosse la città medesma.
     In villa al gran dispendio si pon briglia,
Il più dell’ore in opra si dispensa,
E pochissima noia vi si piglia.
     Poco mal vi si fa, men vi si pensa,
E se hanno le città più passatempi,
Hanno anco di perigli copia immensa.
     Cercan gli uomini d’oggi il passar tempi,
Ed io, che son d’opinïon diversa,
Vorrei cosa che fosse arresta tempi.
     L’ambizione al viver santo avversa,
Che il più de’ nostri dì fa men sereni,
In villa raro alberga, nè conversa.
     Oh troppo fortunati, se i lor beni
Conoscesser color, che si stan fora
Tra colti poggi, e valli e campi ameni!
     Cui dà benigna terra d’ora in ora,
Quel, che altrui fa bisogno, agevolmente,
Nè suon di tromba i volti ivi scolora:
     E se non han gli inchini della gente;
Nè men han chi li turba, e chi gli scuote
Dal riposo del corpo, e della mente.
     O felice colui, che intender puote
Le cagion delle cose di natura,
Che al più di que’, che vivon, sono ignote;