Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/49

Da Wikisource.

     E sotto ’l piè si mette ogni paura
De’ fati e della morte, ch’è sì trista;
Nè di volgo gli cal, nè d’altro ha cura!
     Ma più felice chi del mondo vista
La parte sua, non vi s’appoggia sovra,
Aitato dal saper, ch’indi s’acquista;
     Ma in villa, ch’è sua tutta, si ricovra,
E degli anni, e dei dì, c’ha speso indarno,
A se stesso, ed a Dio parte ricovra.
     Così potess’io tra Sebeto e Sarno,
Menar omai la vita, che m’avanza,
Con le ninfe del Tevere, e dell’Arno,
     Dalle quai fei sì lunga lontananza:
E de’ signor sgannato di qua giuso
Fondar nel re del cielo ogni speranza.
     Deh sarà mai pria che giù cada il fuso
Degli anni miei, che a piè d’una montagna
Mi stia tra colti, ed arbori rinchiuso,
     E con la mia dolcissima compagna
(Qual Adamo ul buon tempo in paradiso)
Mi goda l’umil tetto e la campagna;
     Or seco a l’ombra, or sovra il prato assiso,
Or a diporto in questa e in quella parte,
Temprando ogni mia cura col suo viso:
     E ponga in opra quel c’han posto in carte
Cato e Virgilio, e Plinio, e Columella,
E gli altri che insegnar sì nobil arte.