Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/52

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     L’urtar de’ giovanetti, e cavai bravi;
L’accompagnar signori, il seguir cocchio;
Il far noi stessi in mille guise schiavi,
     Il visitar sovente, il gir con occhio
Com’uom, ch’abbia nemici, e questi e quelli,
Or salutar col capo, or col ginocchio;
     Il veder tanti e tanti dottorelli,
C’han sì contrarî al titolo gli aspetti,
Che farian noia a statue il vedelli.
     Vedo ir con toga mille garzonetti
Degni ancora di bulla, e di pretesta,
E maestri degli altri vengon detti.
     Legge farebbe il re bella ed onesta,
Se ’l termine negli anni statuisse
Al tor di grado ed al cangiar di vesta.
     Senza cagion dal Tosco non si disse,
Per mostrar, che ’l saver venga col tempo:
Nestor, che tanto seppe, e tanto visse.
     Uom che qual voi sappia partirsi il tempo,
Dico c’ha in villa ognor mille solazzi.
Ma fabrichiamla omai, ch’egli è ben tempo.
     Io non vo’, che le ville sian palazzi,
Che ingombrin molto, e chi vi vien, che veda
Terren, dove men s’ari, che si spazzi.
     Quanto in grandezza più la casa ecceda,
Più vi dà costo, e più men vostra fasse;
Che or questi, or quegli avvien, che la vi chieda.