Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/53

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     Salvo se tor palagio v’aggradasse,
Perchè talvolta (e veramente il penso)
L’alta donna del Vasto ivi albergasse.
     S’egli è ciò, che sia regia io do il consenso
Che ’l mal, che un solo incomodo v’adduca,
Col ben di mille glorie ricompenso:
     Che avervi e lei, e i suoi e ’l vostro Duca,
Credo che a voi parrà senza esser empio,
Che ’l terren vostro a par del ciel riluca.
     Qual sia ’l piacer, sinora già ’l contempio,
Veder correre il mondo, o caldo o gelo
A casa vostra come a sacro tempio?
     E se Ischia un tempo a Samo, a Creta, a Delo
Fece invidia, ed a Cipro, ed a Citera,
La vostra villa or farà invidia al Cielo.
     Oltre il diporto, che da voi si spera,
Ella farà con gli occhi a mezzo il verno
Nel poder vostro autunno e primavera.
     Nè sia tanto il terren, che al suo governo
Non aggiungan le forze di chi ’l prende;
Onde il vicin ne rida, e l’abbia a scherno.
     Poca terra, e ben colta assai più rende,
Che molta e mal trattata, ond’uom dovria
Tor men di quel, che ’l braccio suo si stende.
     Benchè alcun voglia, che la villa o sia
In calda parte o in fredda o in erta o in piana,
Il volto esposta al mezzodì si stia.