Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/57

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     Il granaio dall’aia non sia lunge
Nè dal tin lunge la cantina voglio,
Buono architetto sempre li congiunge.
     Siavi loco da farsi e servarsi oglio,
Da quel diverso, che del vin già dico,
Sia, s’esser può, sotto alcun tufo o scoglio;
     Esposto (acciò che sia caldo ed aprico,
Senza accendervi foco) al mezzogiorno;
Perchè ’l fumo è dell’olio gran nemico.
     Ampia sia la cucina, ed ampio il forno,
Che pascan molti; e le sere aspre e gravi,
Il rozzo stuol seder vi possa attorno:
     A volta, non a tetto, ancor che gravi,
Che non teman di pioggia, che li bagne,
Nè di favilla, che s’attacchi a’ travi.
     Goda la villa i monti, e le campagne,
E parimente il mare, e la riviera,
Se ben non ode, quando freme e piagne.
     Sia fabbricata, e sieda in tal maniera,
Che abbia di verno il sol, di state l’ombre
Il più del dì, se non da mane a sera.
     Muro non tema incontro, che l’adombre,
E siavi giardin pubblico e segreto,
Ove uom talor sue gravi cure sgombre:
     E benchè angusti vigna, orto, oliveto,
E prato; e vi desio qualche selvetta,
Che faccia il loco via più fresco e lieto.