Pagina:Poemetti italiani, vol. III.djvu/58

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     Se selva avrà, che ferro ivi si metta
Non ho timor, che piè le tronchi o chiome:
Tanto il veder di selva a voi diletta.
     Che fate? ohimè, sin di qua veggo come
Vi siete tutto scolorato in volto
In udir solo della selva il nome!
     Vedo il pallor, che in riso s’è rivolto;
E vi si fan vermiglie ambo le guancie,
Come uom che in fallo all’improviso è colto.
     Soffrite, ch’io con voi mi rida e ciancie:
Parmi d’udir, che voi tra’ denti dite:
Le mie piacesse a Dio, che fosser ciance.
     Ed io vi dico: fratel mio, seguite,
Seguite amor, che sebben v’arde, e sface;
Men noia è il far l’amor, che l’aver lite.
     Seguite pur amor quanto vi piace,
Che sembra un’alma, dove amor non stanze,
Casa di notte senza foco o face:
     E un dì vi mostrerò certe mie stanze,
Là dove io provo appien che un cor gentile
Più deve amar, com’ più in età s’avanze.
     Agli ipocriti falsi, al volgo vile
Lasciate questi scrupoli di fama,
E voi seguite il vostro antico stile.
     Vergognisi d’amor chi vilmente ama,
Ed arde e langue di lascivo amore;
Non chi sol gloria a la sua donna brama.