Pagina:Poemetti italiani, vol. IV.djvu/167

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     Di nuovo, allor, con più sicura mano
Godo impugnar l’agevole compasso,
E, di proporzion la varia legge
Fido serbando, in picciol foglio stringo
Il novello degli astri ordine e corso.
     Occupa il sol dell’universo il centro,
E a lui vicino in breve cerchio volge
Del celebre Mercurio il picciol globo.
Segue, ma quasi in duplice distanza,
Dì tremolo splendor lampi vibrando,
L’astro del dì, l’astro forier dell’ombre.
Indi la terra non più pigra, e seco
Volve il pianeta; che, sdegnando in pria
D’ogni numero il fren, vagava in cielo
Dell’altre stelle regnator bicorne.
Sola poi vien la rubiconda stella
Del fero Marte, e dopo lui l’immenso
Giove, che tanto gli è lontan quant’esso
Dal sol due volte. In così vasto campo
Forse alcun’altra dell’erranti stelle
Ruota da noi non conosciuta, e forse
Suo picciol disco, e per gran macchie oscuro,
Fe’ si che invan della ritrosa in cerca
Al notturno favor di doppia lente
Vagò pel ciel l’astronoma pupilla.
Quattro pianeti, all’età prisca ignoti,
Seguon di Giove imperioso i passi,