Pagina:Poemetti italiani, vol. V.djvu/141

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Tu mescerai purissim’onda a chiara
Purissim’onda, e di color cilestro
L’umor commisto appariratti, quale
Appare il ciel, dopo il soffiar di Coro.
Tingerai, Lesbia, in acqua il bruno acciaro;
E a l’uscir splenderà candido argento.
Soffri per poco, se dal torno desta,
Con innocente strepito, su gli occhi,
La simulata folgore ti guizza.
Quindi osò l’uom condurre il fulmin vero
In ferrei ceppi, e disarmò le nubi.
Ve’ che ogni corpo liquido, ogni duro
Nasconde il pascol del balen: lo tragge
Da le cieche latebre accorta mano;
E l’addensa premendo, e lo tragitta
L’arcana fiamma a suo voler trattando.
E se, per entro a gli Epidaurii regni,
Fama già fu che di Prometeo il foco.
Che scorre a l’uom le membra, e tutte scote
A un lieve del pensier cenno le vene,
Sia dal ciel tratta elettrica scintilla;
Non tu per sogno Ascreo l’abbi sì tosto.
Suscita or dubbio non leggier sul vero
Felsina antica di saper maestra.
Con sottil argomento di metalli
Le risentite rane interrogando.
Tu le vedesti su l’Orobia sponda