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Mi fer di carme, e di poema invito;
Che tu nascosa ed al pregar mio sorda,
La sospirata a me sempre negasti,
Qual non negasti mai, Febea risposta.
Ma questa alfin del tuo Parnaso amica
Non men ch’emula piaggia, almo soggiorne
Che agli utili ozi suoi Silvio trascelse,
E con quel genio ornò, con quell’acuto
Senso del bello e del gentil costrusse,
Con cui tornato da la dotta Atene
Pieno di greche idee, pieno del fiore
De le bell’arti a l’ozio suo l’avrebbe
Attico stesso disegnata un giorno.
Si quest’aer beato e questo albergo
Ti fece, o Mufa, un così dolce inganno,
Che di tenerti occulta omai ti spiacque.
Io ti riveggio alfin, sento il tuo nume
Agitator de l’anima. Tu fai
Scacciarne il tetro umor, scuoter l’ingegno
Dal letargo crudele, onde l’ingombra
La spiacevol d’altrui cura e pensiero.
La poetica vena arida un tempo,
Il digiuno finor estro impedito,
Innanzi a Silvio innanzi a te si desta.
Prendo fuoco dal ciel Prometeo novo
A ranimar le inanimate cose
Con nova vita, sì che quanto in terra