Non è l’ospizio e l’amistà che v’ebbe
Il ramingo signor de’ patrii canti.
Ma dopo il giro di due lune, oppressi
Cittadini conobbe il Saluzzese, 430Che si dolean secretamente: il tempo
Esser dicean per sempre estinto, in cui
Davver fiorìa Verona, uomini insigni
Recando in seggio. Or tralignato il seme
Stimavan de’ lor prenci. Or su Verona 435Primeggiante vedean di giorno in giorno
Vieppiù Milano: or non fulgea più raggio
Di grandezza ai nepoti; ora infamato
Iva il nome scaligero da paci
Ed alleanze instabili e bugiarde, 440E pazze guerre e di giustizia spregio.
S’attristava Roccel considerando
Come per ogni umana gente, accanto
A superbe allegrezze e a larghi incensi
Tributati al natìo suolo beato, 445Ferva di sconsolate alme il dolore,
Ch’ivi non veggion fuorchè fango ed onta.
— Dunque, ei dicea (non a Gilner, ma chiuso
Entro se stesso), a che vogl’io contrade
Trovar migliori di Saluzzo? Inferma 450L’umana razza non è tutta al pari?