Vana apparenza ognor non sono il lustro
E l’albagìa de’ più cospicui lidi?
Vana apparenza non è tutto, i retti
Pensieri tranne e le magnanim’opre? 455Meditava ei così, ma fantasie
Più splendide e men vere indi volgea,
Che bello il secol gli pingeano, e bello
Il vincolarsi all’inclito destino
De’ prenci più operosi e più possenti: 460Alte dal secol suo cose aspettava,
E da Verona or presagìane il cenno.
Del bando a lui da’ Veneti scagliato
Voce traspira intanto, e da maligni
O sospettosi inventansi novelle 465Sulla cagion del fatto. Ei di Luchino
Viene estimato esploratore astuto,
E cessano per lui gli accoglimenti
Nelle sale de’ sommi ed il sorriso
Delle dame scaligere. Egli espulso 470Per comando non vien, ma dai serrati
Cuori si scosta disdegnoso e parte.
Invan Gilnero, il curïoso adunco
Naso arricciando, investigar tentava
Dal taciturno signor suo le cause 475Del pronto dipartir. — M’era avvezzato,