620La tïara gemea quasi captiva.
Sconfortato Roccel da tante voci
Di sciagure e di colpe, arrivò un giorno
Alle sette colline, e messe appena
Nella sacra città l’umili piante, 625Andò ne’ templi a lagrimar. Chi puote
Non lagrimar mirando Roma e tali
Di sua crollata possa orme famose,
Ed orme di miracoli e martirii,
E pur troppo fra i santi anco frammiste 630Alme d’Iscarïoti e di perenni
Del Figliuolo di Dio crocefissori!
E assai giorni Roccello e il suo scudiero,
Le romane basiliche ammirando
E le mille ruine e le vetuste 635Effigie e le colonne e gli obelischi,
Alternàr gioia e lutto ed ira e scherno
E penitenza e preci, ogni pensiero
Della terra obblïando oltre a’ pensieri
Che in lor destava la città rëina, 640Afflitta sì, ma ognor rëina al mondo
Per memorie e speranze e immortal ara.
A far vieppiù maravigliosa e grande
La città de’ portenti, ecco a tai giorni
Sorger Cola di Rienzo, uom che insanito