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166 carlo castone rezzonico della torre


     Il coronato e fulgido
tetto, che l’aria ingombra
e di Caserta il florido
terren di sí vasta ombra
65stampa superbo, altri ammirar potrá;
     e de’ pensier di Giulio
l’emulo ardir, cui piacque
su cento archi il volubile
piede drizzar dell’acque
70per vie che preme eterna oscuritá.

Marmi e colonne all’appulo
tolte, o lá dove il monte
al fulminato Encelado
calca la torva fronte,
75di maraviglia me non san ferir.
     Dell’arti care a Pallade
esplorator non tardo,
giunsi il fasto romuleo
a sostener col guardo:
80né la dotta censura è folle ardir.

Ma d’ordine e d’ingenui
usi e di pace imago
al cor mi scende, e l’animo
de le delizie è pago,
85onde a vista sí dolce ebbro divien.
     Ahi! che da noi giá torsero
le virtú antiche il piede;
quasi di lor vestigio
il pellegrin non vede
90dalla Senna al Tamigi, all’Istro, al Ren.

     Felicitá, che agli uomini
raro i gelosi dèi
né intera mai concessero,
dove, se qui non sei,
95tuo divo aspetto vagheggiar potrò?