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Pagina:Politici e moralisti del Seicento, 1930 – BEIC 1898115.djvu/174

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168 torquato accetto

sapientiae ostentationem de patientia praeferunt. Alcuni, non distinguendo la fortezza dal temerario ardire, son pronti ad ogni qualitá di vendetta, e per un cenno che non sia fatto a lor modo, vogliono penetrar negli altrui pensieri e dolersene come di offese publiche. I sensi cosí fieri son vicini ad estremi mali, e l’esperienza dimostra che le picciole ingiurie, se non si lascian passar sotto qualche destrezza, sogliono diventar grandi; e a tutti color che son potenti, molto piú convien di ritirar la vista da simili occasioni, perché ogni un che possa poco è buon maestro a’ suoi pensieri per accommodarsi a tollerare, ma chi ha forza di risentirsi, sente stimolo di correr a precipizio, e molti di questi che stanno in alta fortuna, scordati non solamente di usar perdono ma della proporzion della pena, prendono mezzi violenti per l’altrui ruina; da che avviene ch’essi pur rimangono in tanta turbazione de’ fatti loro, che, oltre all’odio publico, son anche in odio a se medesimi, per la perdita della quiete interna, ch’è bene inestimabile e appartiene all’innocenzia.

XXI.

Del cuor che sta nascosto.

Gran diligenza ha posta la natura per nasconder il cuore, in poter del quale è collocata non solo la vita, ma la tranquillitá del vivere, perché nello star chiuso per l’ordine naturale si mantiene; e quando gli occorre di star nascosto, conforme alla condizion morale, serba la salute delle operazioni esterne. E pur in questo modo non a tutti si dee nasconder, onde, nell’elezione si consideri quello che fu detto da Euripide:

Sapienti diffidentia
non alla res utilior est mortalibus.

L’esperienza, che si suol doler degl’inganni, potrá far luce in questa materia, ch’è una selva oscura per l’incertezza del ben