Pagina:Politici e moralisti del Seicento, 1930 – BEIC 1898115.djvu/187

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dal «tacito abburattato» 181


portabile è mangiar in duro assedio il cibo stesso piú di una volta, ma il desio di gloria toglie la nausea; cosa orribile al pensiero è il macel de’ propri figli, ma il desio di gloria somministra lena al cuore, agli occhi per vederlo, per comandarlo. In somma non vi è legge di natura, non intoppo di fortuna, non fatica di arte, non contrarietá di usanza, non avversitá di voglia, che l’ingegno, l’ardimento, la risoluzione, il vizio o la virtú dell’uomo per servir al desiderio della gloria tutto non vinca.

Gli animali stessi, quanto piú somiglian l’uomo, tanto maggiormente ancora il pungol della gloria e dell’onore tien risvegliati. Quindi se si guardan gli elefanti, che hanno un non so che del ragionevole, eccone uno, che di notte con barriti flebili deplora la sua servitú, ma colto in fatto, vergognando di mostrar le sue miserie o la sua debolezza in sofferirle, subito tace; eccone lá un altro, che di rabbia di essersi lasciato vincere dall’emolo in guadar un fiume, con rabbiosa fame lascia morirsi; ecco il terzo, che sta tutto inteso ad istudiar nell’erudita polvere la lezione scritta di suo proprio pugno, per non incontrar piú scorno davanti al maestro. Quando dunque maggiormente fia sollecito e geloso della propria riputazione il medesimo uomo? Ben mostrollo Palemone, il quale, stato eloquentissimo nella piú fresca etade, per non sopravvivere alla sua eloquenza, privo degli usati applausi, fu becchino di se stesso, esortando i circostanti ad affrettare la lapida sopra il suo corpo. Inducite, diceva, inducite, ne me sol videat tacentem.

Ma se prova gentilissima volete, o miei signori, quanto il pizzicor di lode stuzzichi i mortali, ve ne sia cortese Luciano, con l’ammettervi ad udire una difesa, che la ninfa Galatea si prende a far di Polifemo contro di altre ninfe, che di lui levavano ben grandi i pezzi. Strana cosa certamente a chi rimembra, chi l’un fosse e chi fosse l’altra. Quegli era uno, non pur aborrito dalla ninfa, perch’egli era la gran bestia in paragon dell’elefante, piú che l’elefante in paragon del topo, e perché avea una vuota occhiaia in fronte da affacciar visi, come a finestra di lui degna, il capo di Lucifero, e da’ tumidi labroni giú